Ogni mese, alcuni degli autori di Kobo Writing Life accettano di prestarsi al gioco delle domande/risposte, per poi essere messi in evidenza sul blog. Avrete quindi l’opportunità di saperne un po’ di più sulle loro preferenze di scrittura e sulle letture che li hanno ispirati. In più, gli autori condivideranno i loro consigli e trucchi per tutti quelli che desiderano lanciarsi nell’avventura del self publishing.
Oggi, incontriamo Cecile Bertod, un’autrice dall’ispirazione frizzante che ci accompagna nel suo mondo ricco di influenze diverse.
Come è nata la tua voglia di scrivere?
Non credo che ci sia mai stato un momento in cui scrivere è diventata un’esigenza, perché non ricordo un solo giorno della mia vita in cui accanto a me non si trovassero un libro o una penna. In realtà è qualcosa che mi è sempre venuto spontaneo, è cambiato solo il modo. La forma, forse. Pian piano, continuando a provare, un pensiero si è trasformato in un’immagine, che ha dato vita a un racconto, che si è sviluppato in un romanzo conservando però la stessa origine. Mutano solo i mezzi a mia disposizione, ma in realtà nasce tutto da quel mondo che conservo dentro e ogni tanto, se gli astri convergono, ne esterno un piccolo riflesso.
Quali sono gli autori o i libri che ti hanno ispirato?
Ci sono autori che mi hanno formato, e a cui devo il mio modo di vedere la vita, quello che credo sia giusto, quello che ritengo sbagliato. Agiscono in sottofondo, tra le righe. I miei sono e saranno sempre Guareschi, Jane Austen, Stevenson, Wilde. Ma potrei dirne tanti altri. Salgari, ad esempio. Non sarò mai così grande, lo so, ma porterò sempre con me, qualsiasi cosa io faccia, ovunque andrò, quello che mi hanno donato. Se invece devo citare un autore a cui ancora oggi faccio riferimento quando scrivo non posso non pensare alla Kinsella. Non avrei mai letto un rosa, se non fosse stato per lei, non avrei mai scritto un rosa, se non fosse stato per lei. Questo per dire che è colpa sua, dovete prendervela con lei.
Come trovi l’ispirazione?
Una canzone. Un piccolo episodio. Un bisticcio. Ecco, sì, perchè io bisticcio un sacco. Con tutti. Il bello di essere Toro ascendente Scorpione è che, qualsiasi cosa accada, a prescindere dalla tranquillità di quel singolo momento, c’è sempre qualcuno con cui prendersela. E da un bisticcio, questo è risaputo, vengono sempre fuori le storie migliori.
Cosa ti ha portato a scegliere l’autoedizione?
Quando ho iniziato a scrivere l’editoria era molto diversa. Parliamo di sette anni fa, circa. Arrivare a un editore, almeno in Italia, non so all’estero, era impensabile. Davvero. Bisognava spedire il proprio manoscritto, già sapendo che non l’avrebbe letto nessuno, e sperare nel frattempo. Questo se il sogno era pubblicare, il mio però era solo esserci. In una qualsiasi forma. Avere un angolino tutto mio dove poter esternare i miei pensieri. Non feci neanche il tentativo, ricordo. Trovai per caso un sito, ci pensai su qualche minuto e sentii subito che quella era la scelta migliore. E se doveva essere destino sarebbe venuto tutto da sé, se non fosse stato così non avrei tolto o aggiunto nulla alla mia vita, ma avrei comunque trovato uno spazio dove poter essere liberamente quello che nella vita di tutti i giorni non riuscivo a mostrare. Il self ha cambiato la mia vita forse in questo più che in ogni altro aspetto, ha creato una Cecile Bertod dove prima c’era solo un’Annalisa.
Quali sono i pregi di essere un’autrice indipendente?
La libertà. Di creare. Di sperimentare. Di decidere cosa mostrare, quando e in che modo. Il grado di rispetto che si pretende e che si è disposti a donare in cambio. La possibilità di conoscere tante persone come Sandra Lonchamp (Coordinatrice Europea di Kobo Writing Life), prima nascoste dietro a un monitor. Ho sempre amato il self e non l’ho mai nascosto. Quando pubblico da sola posso disegnare, posso scrivere cose molto sciocche, posso regalare una guida di San Francisco con tutte le mie stramberie a chi mi segue. Parlo di esperienze che ho già fatto, ovviamente. E queste sono le cose che amo davvero della mia realtà: esprimermi, senza che ci sia nessuno a farmi da filtro. Io e basta. A volte con una storia. A volte con una vignetta. E così via. E dall’altro lato chi vuole può seguirmi, chi preferisce aspettare qualcos’altro lo fa. Anche l’editoria tradizionale ha tante bellissime esperienze che si porta con sé, ma forse, proprio perché è iniziata così la mia nuova vita, guarderò sempre all’auto-pubblicazione con un pizzico di cuore in più.
Stai lavorando su dei nuovi progetti in questo momento?
Uno. Dieci. Mille. Come ogni volta. Inizio tante cose. Ne finisco poche. Intanto ne ho cominciate altre. Perché c’era quel tizio che… Ma se scrivessi di quel… No, no, questa è stupenda. E continuo così, tra momenti di profonda depressione –No, oddio, cosa ho fatto? Butto! Butto! – E momenti di delirio di onnipotenza – Ok, questa è da Nobel per la letteratura, me lo sento!
Storie di ordinaria follia. Intanto sgranocchio biscotti e aspetto che George Clooney si ricordi di me.
In qualità di scrittore, quale è stato il miglior consiglio che qualcuno ti ha dato?Nell’editoria è difficile che qualcuno dia consigli. È un mondo chiuso, fatto di isole. Non ci sono ponti. Ma in tempi non sospetti una persona mi ha dato qualcosa che mi è servito tantissimo in questi anni. Era il mio professore all’università. Mi disse che non era impossibile, ma che ci avrei messo più tempo. Ormai calcolo ogni scelta partendo da qui. È una questione di tempo, quanto sei disposto a spenderne anche a costo di perderlo.
E tu, quali consigli daresti ad un autore che volesse lanciarsi nell’avventura dell’autoedizione?
Di avere cura di ogni più piccolo dettaglio. E di lasciare a volte che un lavoro conservi i suoi difetti, senza pretendere la perfezione. Perché ogni singola storia che verrà corrisponderà a un certo grado di preparazione, e identificherà ciò che siamo in quel momento. Un gradino più in basso di ciò che potremmo essere domani. Almeno è quello che ho sempre sperato per i miei romanzi. Soprattutto di non restarci male se non va. Di non buttarsi giù. Non avvilirsi. Il mio primo libro, era un fantasy, ha venduto ben tre copie. Ecco, con un risultato del genere avrei dovuto chiudere tutto, cestinare il mio pc e, non so, provare con la cromoterapia, un corso per estetista, quel sogno di aprire un bar a Barcellona, sulla spiaggia, e vivere di cocchi e romanzi d’appendice letti sotto l’ombrellone. Eppure poi…
Qual è la tua lettura del momento?
Sto leggendo tre libri. “Il figlio del cimitero” di Neil Gaiman, che ho quasi finito. “Il club delle giovani vedove”, appena iniziato. E stasera rileggerò forse per la millesima volta “Il bosco addormentato”, di Rebecca Dautremer. Perché ci sono libri che ti segnano con un grappolo di frasi. Questo è uno di quei libri. E lo consiglio davvero a tutti.
Per finire, qual è la citazione che ti rappresenta?
“La verità mio signore è che mi diede il suo per poco tempo. Ed io il mio in usufrutto. Un doppio cuore in cambio di uno. Senza contare che il mio lo aveva vinto con falsi dati. Dunque, mio signore, dice il vero affermando che io l’ho perduto!”
Da Molto rumore per nulla.
Se hai voglia di scoprire un romanzo divertente, ironico e leggero, L’assistante ideale , è fatto per te.
Sintesi
Diciamoci la verità, Adel Simon è una persona normale. Drammaticamente normale. In più detesta la sua vita, detesta essere quello che è e detesta il suo lavoro a Lione. Allora perché parlare di Adel? Perché per una volta e per puro caso le viene permesso di vivere per qualche giorno la vita che in realtà vorrebbe e di essere non più la semplice correttrice di bozze della Seine Rouge, ma un’avvenente escort dallo scintillante guardaroba estivo. Antoine Morel è stato chiaro: per tre giorni dovrà essere impeccabile, l’assistente ideale. E dovrà seguire il famosissimo Kilian Lefevre come se fosse un’ombra, questo almeno fin quando non riusciranno a fargli firmare un contratto per la collana Suggestive. Cosa sperare di più? E’ un sogno, ma c’è un però. Già. Un però davvero insopportabile che si chiama Philippe, costretto a seguirla per impedirle di combinare un pasticcio dopo l’altro. E allora che succede? Be’, potreste leggerlo, no?
Un pensiero riguardo “Incontro con Cecile Bertod”