Il finale è forse una delle parti più difficili della scrittura di una storia da affrontare per uno scrittore. Sicuramente è una parte essenziale dello storytelling che segue delle dinamiche e degli schemi. Oggi parliamo di finale della storia con Cristiano Carriero, storyteller impegnato nel racconto di storie per le aziende e nella formazione, autore e curatore di libri della collana dedicata al digital marketing di Hoepli, ma anche di Lutto libero, raccolta di storie e di ventitré punti di vista sulla morte, di Domani no, romanzo sulla musica, la vita, l’amore e del racconto breve Ma tutto questo Alice non lo sa. Chiediamo a Cristiano di parlarci di finale della storia, poco dopo aver scritto il finale del suo ultimo romanzo, 24 dicembre edito da Les Flaneurs.
Ciao Cristiano, grazie per essere con noi a parlare del finale della storia. Facciamo con te un piccolo passo indietro: cosa caratterizza un finale? Cosa non deve mancare in un finale e cosa evitare assolutamente?
Il finale, come l’incipit, è un tema che a mio parere andrebbe trattato solo dopo aver messo il punto alla storia. Si tende, a volte, ad affrettare il finale. Il mio modesto punto di vista è questo: una volta finito il romanzo, ci si ferma un paio di giorni e poi ci si mette sul finale. Importante ricordare che incipit e finale devono parlarsi, in qualche modo chiudere il cerchio e al tempo stesso aprirlo. Un finale non deve essere uno spiegone, ma essere lasciato aperto a interpretazioni. Deve, insomma, far continuare a parlare. Altrimenti non ha assolto al suo compito.
Quanti tipi di finali ci sono e come sceglierlo? Tra questi, hai un finale preferito? Preferisci il “vissero felici e contenti”, il finale tronco o quello strappalacrime?
Preferisco i finali aperti, sono quelli che danno un ruolo al lettore. Cosa ha capito lui o lei? Cosa è successo? Saranno davvero felici i protagonisti o è solo un’illusione? Il mio finale preferito fa parlare, è seriale. Il “tutti vissero felici e contenti” va bene per una favola, dove c’è una morale, uno scopo educazionale, il romanzo è diverso. Deve però smuovere qualcosa: una risata, un pianto, ma soprattutto la voglia di chiudere prima delle ultime due righe perché si sente che sta per finire una storia bellissima e che ti mancherà.
Quanta importanza ha il finale di una storia? Una bella storia deve avere necessariamente un gran finale oppure le due cose possono non essere collegate? Un brutto finale rovina un bellissimo libro? Una storia mediocre può essere salvata da un bellissimo finale?
Non credo che un brutto finale rovini un bel libro, almeno per me non è così. Capita che a volte il finale non è quello che vogliamo o che immaginiamo, ma la storia è talmente bella che lo perdoniamo. Viceversa credo che un bel finale possa riabilitare un libro che non ci ha colpito, a patto che arriviamo a leggerlo. E questo non è scontato.

Quali sono il finale migliore e quello peggiore che hai mai letto? Cambieresti il finale di un libro di cui non ti è piaciuto il finale? Se sì, cosa cambieresti? E di un tuo libro già edito, invece?
Bella domanda, ci sono tantissimi bei finali. Amo quello del giovane Holden anche se il mio preferito è quello della Simmetria dei desideri di Eshkol Nevo. Sono perfetti, chiudono un cerchio, ti tengono col fiato sospeso fino all’ultima riga. Ovviamente non te li anticipo sennò… ti svelo i libri, e magari non li hai letti. Sui peggiori non mi esprimo, probabilmente non ci sono nemmeno arrivato! Per quanto riguarda i miei, io sono molto esigente con me stesso. Quindi se rileggo oggi il finale di Domani no non faccio fatica a dire che, oggi appunto, ne scriverei uno tutto diverso.
Il finale è forse una delle parti più difficili della scrittura di una storia da affrontare per uno scrittore? Che consigli dai per la scrittura del finale a chi sta scrivendo un libro?
Di considerarlo un libro a sé stante, con una sua logica. Alcuni consigli li ho già dati nelle risposte precedenti, posso aggiungerne uno: cercate di condensare in poche righe il senso di tutta la storia. Gli oggetti, le persone, i luoghi, ci deve essere un richiamo a tutto. E poi fate questo esercizio: create eccitazione, stupore, suspance nelle ultime cinque righe. Se non c’è questo, riprovate.
Oggi siamo abituati alle serie. Questo ha influito sulle aspettative del lettore? Come sono cambiati i gusti del lettore sul finale? Quanto i lettori sono o meno propensi al vissero tutti felici e contenti? Una storia, infine, può non avere fine, non avere un finale?
La serialità fa parte della nostra comprensione delle storie e quindi entra prepotentemente a far parte anche dei romanzi. Uno scrittore furbo – oltre che bravo – sa che un suo personaggio può vivere in prequel o in sequel, i grandi racconti lo permettono. Io per esempio mi sono preso la briga di dare al personaggio del mio nuovo romanzo lo stesso nome del protagonista di Domani no. Le due storie non sono collegate, ma un domani potrebbero esserlo. Il finale, appunto, lo permette.
Quando si scrive un finale si deve già pensare all’inizio di una nuova storia? Il finale pone fine a una storia o sancisce l’inizio di un’altra?
No, credo che vada lasciato al lettore – che poi è il giudice sommo di tutto – il tempo di immaginare cosa succede dopo che ha chiuso il libro. E questo è compito e merito di noi autori.
Quando è il momento di scrivere il finale di una storia? Quando si capisce che è arrivato il momento di far finire una storia? Ti è mai capitato di pensare al finale di una storia ancor prima di aver finito di scriverla?
Io pianifico prima dove voglio arrivare: qual è lo sviluppo dei personaggi e delle storie e quindi so quando è il momento di chiudere, di scrivere un finale. Il rischio, non facendo così, è quello di scrivere un finale stanco, per sfinimento. E quella è una conclusione che sicuramente non funziona. C’è un timing preciso, portarlo troppo oltre o anticiparlo fa perdere senso a tutto il resto. Di sicuro il “durante” è importante: io mentre scrivevo ho immaginato tanti finali diversi, salvo cambiarlo all’ultimo minuto perché poi alla fine, ti sembrerà incredibile, sono i personaggi a decidere dove andare. Devi solo sederti ad ascoltarli, farli parlare. Questo non è facile, credo ci voglia molto tempo e un discreto allenamento.
Hai mai vissuto un blocco sul finale: scrivere e riscrivere le ultime parole, se sì, come ne sei uscito? E, soprattutto, esiste il finale perfetto oppure il lettore avrà sempre da ridire?
Il lettore avrà giustamente sempre qualcosa da obiettare. E per fortuna. Noi non dobbiamo farlo felice a tutti i costi. Io il blocco l’ho avuto, ma i blocchi non possono durare troppo. Se aspetti l’ispirazione e il momento perfetto potrebbe non arrivare mai. Nel mio caso la più alta forma di ispirazione è la deadline: sapevo di dover consegnare il 1 dicembre e il giorno prima ho rivisto il finale. Come se sapere di avere quell’ultimo giorno mi ha spinto a dare il meglio. I blocchi vanno superati così, purtroppo le parole non vengono da sole: bisogna aprire il word (o il taccuino, se si scrive a mano) e scrivere. Non c’è altro modo!
Hai da poco scritto il finale del tuo romanzo 24 dicembre edito da Les Flâneurs Edizioni che è nelle librerie da questo 14 dicembre. Com’è stato scriverlo? Qual è stato il processo che ti ha portato al finale del tuo romanzo?
Credo sia stata la parte più difficile, ma la più bella. Lo rileggo e mi piace, dico che ne è valsa la pena, che dà un senso compiuto a tutto. Non posso svelare troppo, ma fino al giorno prima il finale era diverso. Poi la mia editor e mentore Alessandra Minervini mi ha convinto a cambiarlo, dicendomi che secondo lei la mia idea era sbagliata, quel finale che avevo in mente era troppo rispetto al romanzo che avevo scritto. Ecco il più importante dei consigli: non innamoratevi delle vostre idee, confrontatevi con chi fa questo mestiere e siate disposti/e a cambiare in corsa.
