Mentore nello storytelling, luci e ombre: intervista a Giulia Ciarapica

Il Mentore è una delle figure dello storytelling, così come l’eroe, l’antagonista, gli strumenti magici e il finale della storia. Oggi ne parliamo con una delle più influenti book blogger italiane, Giulia Ciarapica, anche giornalista e scrittrice marchigiana. Ha pubblicato nel 2019 il suo romanzo d’esordio Una volta è abbastanza (Rizzoli).

Giulia, ecco alcune domande che possono sembrare scontate, ma doverose per iniziare a costruire una figura importante come quella del mentore: chi è il mentore? Cosa fa? Qual è il suo ruolo all’interno della narrazione e, soprattutto, è fondamentale?

Possiamo definire quella del mentore come una figura archetipica, ossia un modello originario che, in questo caso, risulta strettamente collegato a una presenza “genitoriale” o “divina” (la voce di Dio, la voce della coscienza): è un personaggio che in precedenza è stato un Eroe, e che ora è in grado di affiancare con suggerimenti e consigli il nuovo Eroe, colui che sta per intraprendere “il viaggio”. Dunque, si tratta di una guida (che può essere sia positiva che negativa), un insegnante ma anche un donatore (perché spesso dona all’Eroe oggetti di vario genere); si tratta quasi sempre di una figura di estrema importanza, poiché guida il personaggio principale attraverso l’avventura, stimolandolo e incalzandolo, avvertendolo e mettendolo in guardia.

Il mentore è il maestro, la guida spirituale, il personaggio che riesce in qualche modo a condizionare e indirizzare le scelte dell’eroe. All’interno di una narrazione come si inserisce, quale deve essere il background, quali potrebbero essere i punti di riferimento e le reference alle quali aggrapparsi in fasi di scrittura?

Il mentore è una figura di estrema importanza soprattutto nei romanzi fantastici, in cui si delineano con ancor più chiarezza i ruoli e le condizioni di ciascun personaggio (pensiamo ad esempio a Gandalf ne Il Signore degli anelli); cionondimeno, questo spirito guida lo ritroviamo, magari con dei tratti meno marcati, anche in opere come Il Conte di Montecristo – pensate all’abate Faria, che di fatto istruisce Edmond Dantes e lo accompagna nel suo percorso di rinascita, cui seguirà la vendetta. Dunque, immaginiamo di costruire una figura che, partendo anche dai numerosi esempi del mondo classico, abbia qualcosa da insegnare all’Eroe: un modo d’essere, un approccio, uno sguardo sul mondo che sia ricco dell’esperienza del mentore stesso ma anche dei suoi errori, così che l’Eroe non venga tratto in inganno ma possa imparare dalle tracce lasciate da chi l’ha preceduto.

Cosa deve avere necessariamente un mentore per essere definito tale e cosa invece bisogna evitare per non scadere nel banale e scontato?

Il mentore insegna e indica una possibilità, una strada, un “come” e a volte anche un “perché” (ripetiamolo: sia in senso positivo, che in senso negativo). Quel che potremmo fare per non scadere nel banale è sicuramente di “scomporre” questa figura singola disseminando le caratteristiche del mentore in più personaggi: come se componessimo un mosaico, costruiamo una guida a cui l’Eroe può appellarsi senza far riferimento a una sola persona, ma a più elementi di un gruppo che lo guidino nel suo percorso. Potremmo, per esempio, avvalerci di personaggi con personalità differenti, che incarnino anche i vari tipi di mentore: quello più didascalico, quello più trattenuto, quello più reticente e infine quello più comico.

Come si è evoluta, se si è evoluta, questa figura nella narrazione? 

Di sicuro, abbiamo progressivamente imparato ad abbandonare il modello del mentore “unico”, come dicevo prima. Dunque, non più una sola figura di riferimento ma più personaggi, i quali possono coincidere anche con più punti di vista che però si muovono nella stessa direzione: indicare la via a qualcuno. Il mentore non è più (soltanto) l’infallibile maestro, ma è diventato soprattutto una persona – priva di quell’aura “divina” ed esclusiva che aveva un tempo –, un individuo talvolta fallace, che anzi “deve” sbagliare e che non ha l’obbligo di ostentare una sicurezza posticcia (diventa così più credibile), ma grazie al quale s’intuiscono cose che diversamente non avremmo saputo raggiungere – e non mi riferisco solo al mondo esterno, ma soprattutto ad un percorso interiore, intimo e privato.

Quando può considerarsi esaurito il suo compito?

Quando l’Eroe giunge all’obiettivo, quando il percorso arriva ad una conclusione, buona o cattiva che sia. Insomma, una volta che tutti gli insegnamenti sono stati appresi, perché il compito del mentore è quello di guidare e indicare la via.

Se dovessi tracciare il prototipo del mentore, a quali personaggi letterari già raccontati ti ispireresti, quali sono le caratteristiche proprie del personaggio che sono fondamentali per te? E pensi invece che oggi alla figura del mentore, intesa in senso assoluto, manchi ancora qualcosa oppure sia già stata raccontata e descritta al meglio delle sue possibilità?

Di sicuro, una delle figure principali che mi viene in mente è quella di Virgilio ne La Divina Commedia, la guida per eccellenza, il personaggio che più di ogni altro è stato in grado di indicare a Dante la via fino alle porte del Paradiso. Un maestro che aiuti e che, quando necessario, sia pronto a redarguire l’Eroe. Secondo me, si potrebbe arrivare col tempo a una maggiore caratterizzazione di questa figura, soprattutto in vista di una narrazione che si fa sempre più intimista, talvolta quasi ombelicale ma necessaria, probabilmente, per superare alcuni dei cambiamenti che la nostra società si è trovata a fronteggiare nell’ultimo decennio. Non saprei ancora in che modo, ma di sicuro il mentore assumerà nuovi tratti, sempre meno “educativi” e didascalici nel senso classico, e sempre più “privati”: una specie di voce interiore che potrebbe saltar fuori con la terapia, ad esempio.

Come va impostato il rapporto tra l’eroe e il suo mentore? Spesso è un conflitto tra queste due figure a generare delle svolte nella trame e non è inusuale assistere a personaggi che inizialmente hanno assunto il ruolo di mentore, rivelarsi poi il vero antagonista. Come si costruisce questa narrazione?

Bisogna innanzitutto capire che tipo di viaggio si vuol far compiere all’Eroe e in che modo le “forze esterne” incidano sul suo cammino, se più o meno rispetto a quelle interiori. Occorre individuare lo scopo della narrazione, il messaggio che si vuol far passare e quindi l’obiettivo finale: cosa si vuole conquistare? Da lì saremo in grado di capire che tipo di mentore ci è utile.

Per impostazione del personaggio, il mentore è spesso una figura di supporto, secondaria, determinante per gli sviluppi successivi al suo ingresso in scena ma (forse) mai protagonista. Eppure in ottica di puro storytelling, può essere utile utilizzare il mentore come focus della narrazione? In che contesto eventualmente?

Assolutamente sì. Il mentore, al di là del fatto che resta sullo sfondo rispetto all’Eroe, è comunque il suo braccio destro, il suggeritore a latere, l’ombra che, talvolta, spunta quasi all’improvviso per poi ricomparire alla bisogna. Ma se pensiamo per l’appunto a Virgilio, beh, non mi sentirei di dire che si tratta di un elemento secondario nella narrazione, anzi, ha un ruolo così attivo da definire con maggior chiarezza – agli occhi del lettore – la personalità di Dante, dandole ancor più spessore. 

Qual è il tuo mentore preferito e perché? Ce n’è invece uno che non hai proprio sopportato?

Il mio mentore preferito è l’abate Faria del Il Conte di Montecristo, ma devo dire che anche il Merlino di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda mi piace molto. Non ho spiccata simpatia per Gandalf, ma forse finora non ho trovato ancora nessuno di particolarmente insopportabile. Dopotutto, il ruolo dei maestri mi è sempre piaciuto molto.

Ti interessa lo storytelling? Esploralo con noi, andiamo oltre la definizione e addentriamoci in un’arte, quella del narrare, che ha radici profonde nel tempo. Un’arte che, sullo sfondo delle regole della retorica e della narratologia, si evolve con noi, nella produzione di una storia.

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