Un tuffo nel giallo con la penna del maresciallo Maggio, Francesco Zampa

Francesco Zampa

Oggi abbiamo il piacere di avere con noi Francesco Zampa, da anni autore indipendente specializzato in gialli.

Dal 2010 cura il blog ilmaresciallomaggio.blogspot.com, luogo di confronto e sperimentazione, ed è del 2012 il suo romanzo breve Doppio omicidio per il maresciallo Maggio, primo libro della serie I racconti della riviera, arrivata al decimo episodio con i titoli C’è sempre un motivo, maresciallo Maggio (prequel), Gioco pericoloso, maresciallo Maggio, la Trilogia del malaffare, il dittico sulla violenza di genere Comunque colpevole e Difesa illegittima, La vendetta di Hamed e Il tratto finale

Nel 2022 inaugura una nuova trilogia, la “Trilogia del ventennio”, con il primo volume Per libere elezioni, pubblicato a suo marchio Zipporo Direct Publishing, fondato nel 2015. A oggi, ha collezionato 16 titoli.

Grazie all’auto-pubblicazione in digitale, Francesco Zampa è riuscito a costruirsi una folta schiera di lettori affezionati, e i suoi libri sono disponibili in tutto il mondo in lingua francese e inglese.

Francesco, prima di entrare nel vivo di questa vivace intervista su scrittura, processo creativo e pubblicazione, ti chiediamo: che rapporto hai con la scrittura? 

“Un rapporto molto naturale. Mi è sempre piaciuto scrivere. Qualsiasi cosa scrivessi, sono la spontaneità e la voglia di voler esprimere qualcosa, sentimenti, pensieri, a spingermi a farlo. Inizialmente c’era anche dell’autocompiacimento, che poi è andato via con il tempo. Molto spesso è controproducente. Posso dire che scrivo da sempre quello che mi piace, questo sì. Se non lo si fa al fine di compiacimento estetico, scrivere quello che si ama, parlare di determinati argomenti, di temi personalmente importanti non è controproducente, ma una necessità. Ho sperimentato molto. Non sempre tutte le mie idee sono degne di una trama, non è detto che lo siano state, ma mi piaceva solo scriverle”. 

Come inizia il tuo processo di scrittura?

Parto solitamente da un’idea, o meglio, da una motivazione che in genere si concretizza in una idea. La scrittura poi prende forma nella trama, in un intrecciarsi di vicende che porta all’idea iniziale, in maniera plausibile, coerente e possibilmente appassionata”. 

C’è stato un evento scatenante, qualcosa ti ha portato a uscire allo scoperto come scrittore? 

C’è stato un bando circa 10-15 anni fa che ho notato, nel momento in cui ho realizzato di voler scrivere qualcosa. Avevo in mente delle cose e stavo mettendo a fuoco cosa volessi fare. L’ho notato sfogliando il giornale, cosa che facevo sempre, ma prima di quella volta non l’avevo mai notato. Alla premiazione c’era Giancarlo De Cataldo che disse a tutti ‘Perché invece di scrivere racconti non provate a scrivere un libro?’. In effetti la scrittura di un libro era, in maniera embrionale, tra i miei progetti, anche perché i concorsi hanno a volte degli standard molto rigidi riguardo a lunghezza e temi. Mi dissi che potevo provare, scrissi il primo d’istinto. Tuttora è il mio libro più venduto e costante nelle vendite. Da dicembre 2012. Quest’anno, tra dicembre e gennaio, ha venduto più di tutto l’anno scorso. Ora partecipo a Umbrialibri come editore e sono inserito nel circuito degli editori umbri. De Cataldo è venuto alla presentazione di quest’anno e gli ho detto che era stato lui a innescare tutto, 16 libri dopo”.

Cosa diresti a chi è indeciso sul fare questo passo?

“A chi è indeciso direi di provare, verificare se ha qualcosa da dire. Accettare con umiltà le indicazioni che vengono date, ma poi scegliere da soli. Anche perché il confronto con il pubblico è spietato. Quindi, anche se sul momento non si capiscono i suggerimenti, ci si arriva dopo. Ci sono delle cose pratiche che chi ne sa più di te può in tutta trasparenza dirti. È possibile anche che ti si dicano delle cose troppo ortodosse mentre hai in mente tutt’altro: questo capita, ma prima di scegliere la propria strada bisogna ascoltare e poi fare di testa propria. In fondo tutto quello che è stato scritto è fatto per essere confutato, a partire dal genere, per esempio, o dall’incipit: se ce l’hai in testa molto chiaramente fai bene a farlo”.

Quale pensi sia il tuo punto di forza come scrittore e quale ti viene riconosciuto come tale?

“Credo che sia una certa immediatezza di scrittura e che sia anche una capacità di analisi di luoghi comuni, che inevitabilmente hanno del vero, però quando sono analizzati da chi non li conosce dall’interno sembrano solo tali; se invece li si descrive avendo una prospettiva interna gli si dà un fondamento e una spiegazione. Questo mi riconoscerei come pregio: su certe cose che avvengono nel mondo investigativo e giudiziario, posso dare una prospettiva dall’interno e spiegarne le sfumature e le ragioni, sostanzialmente umane, alla base. Non so se viene percepito come punto di forza, ma è sicuramente un tratto particolare. I miei lettori mi dicono spesso che i miei libri sono facilmente leggibili. D’altra parte, mi è stato detto che ho capacità di sintesi, anche troppa: da maresciallo dei carabinieri, per anni ho annotato le denunce dalle persone, quindi la mia capacità di sintesi si è acuita e si riflette nella scrittura. Anche per questo ho ricevuto una recensione che dice che i miei finali sono tutti tronchi…perché? Purtroppo quando arriva la fine della storia mi rendo conto che la termino in poco tempo. Ultimamente ci ho fatto più attenzione. In linea di massima, però, quando finisce l’ispirazione, avendo sviluppato l’idea che avevo in mente, il mio libro è finito”. 

Come ti sei avvicinato a Kobo Writing Life e al self publishing in generale? 

“Ho avuto una prima esperienza con un editore a cui mi ero rivolto dopo aver scritto un primo libro, che lo stampò e lo pubblicò subito. Il resto fu tutto demandato a me. Non ero soddisfatto di com’era andata. Mi accorsi che stava per esordire l’autopubblicazione. Cercando su Internet scoprii questa possibilità. In questo mondo non c’è nessuna regola. Non si possono fare previsioni. Poi è aumentata la concorrenza, ma ho notato che c’è una penetrazione lenta e continua che a me dà soddisfazione. A me piace molto, perché ho completa libertà: decido di cambiare copertina e lo faccio, decido di fare una serie e la faccio. Non si tratta solo di essere editori di se stessi, ma di esprimersi totalmente, perché il prodotto finito non è solo la storia. 

Kobo, in tutto questo, non utilizza dei mezzi di vendita e promozione che poco hanno a che fare con un libro, pur di vendere. Kobo ha un’immagine molto vicina all’autore, e andando sul sito di Kobo si ha l’impressione di entrare in una libreria e non in un Autogrill. Questo è molto positivo per un lettore. Da questi punti di vista è un passo avanti”. 

Cosa pensi caratterizzi un buon giallo e cosa consiglieresti a chi vuole approcciarsi al genere? 

“Ho sempre letto cose molto diverse ed eterogenee, ma sono della scuola classica. Mi piace sorprendere il lettore con un finale misurato. Non dico di riuscirci sempre, ma questo è quello che cerco di fare: un inizio, uno svolgimento e una fine. Un buon romanzo giallo è caratterizzato dal mantenere la tensione dall’inizio alla fine. E non è mai scontato. Deve avere una traccia nascosta e una in superficie: mentre si scrive si deve pensare all’assassino e a cosa succederà nel finale, e chi legge non lo deve capire fino all’ultima riga. C’è poi la questione della particolarità, del modo di raccontare, che è personale. Anche a me piace raccontare cose che succedono nelle caserme. Le romanzo un po’, però le pulsioni dei personaggi, dei protagonisti sono quelle umane, e mi piace metterle in luce. E poi possono influire sulla trama, rientrano in quella definizione di luoghi comuni: sono tutti veri, ma vanno spiegati. Le pulsioni sono le stesse dappertutto. L’assassino può essere chiunque, è trasversale. Può essere l’investigatore cattivo e l’assassino buono e viceversa. A me piace anche ribaltare le parti”. 

Quali sono i tuoi punti di riferimento come autore? 

“Certamente John Grisham. Di lui mi piacevano molto sia la prosa sia le trame. Le storie sono sempre ben scritte, anche se ultimamente lo apprezzo meno. Un altro che mi piace molto è Frederick Forsyth. Lui oggi ha smesso, ma quello che ha fatto in passato è di un livello eccellente, e a me piaceva tantissimo. Poi il maestro Camilleri con Montalbano, ma non solo. Secondo me gli altri suoi libri sono ancora più belli. Poi fantascienza classica, distopia, sono i generi che apprezzo. In più sono un lettore seriale di fumetti, si può dire da prima che leggessi”. 

Intrattieni un rapporto con i tuoi lettori? Se sì, attraverso quali canali?

“Intrattengo una relazione con chi conosco o con cui ho avuto un rapporto: mi scrivono, rispondo volentieri. In genere anche attraverso i social, anche se non sono molto “social”. Non perché mi neghi, ma perché non lo so fare. Tuttavia è un’altra competenza che bisognerebbe avere. In ogni caso preferisco che chi è interessato, lo sia veramente. Pubblico quello che faccio, ho una rete di contatti e li informo”. 

Il maresciallo Maggio: com’è nato questo personaggio, da cosa hai attinto per caratterizzarlo? 

“Nasce dalla mia esperienza personale, ma non solo. Anche dell’esperienza di lettore, di appassionato di storie, di cinema, quindi è un mix di tutto. Di tutto quello che ho vissuto, di come mi sarebbe piaciuto viverlo, mischiato alle esigenze narrative. Molti mi dicono che sono avvantaggiato per il lavoro che ho fatto. Sicuramente, ma non così tanto, perché le pulsioni sono le stesse per tutti. Se si parla di amore, di invidia, di gelosia, sono cose per le quali non serve un lavoro particolare per comprenderle. Non c’è bisogno del mestiere, c’è bisogno di passione e di spontaneità, questo sì. Altrimenti a scrivere gialli sarebbero solo operatori del campo”.  

Con Per libere elezioni hai inaugurato la “Trilogia del ventennio”. Conosciamo un nuovo protagonista, il maresciallo Giovanni Marzo; che tipo di personaggio dobbiamo aspettarci?

“Fino ad ora abbiamo conosciuto il maresciallo Maggio che agiva a Viserba di Rimini tra gli anni ‘80 e primi ‘90. La nuova trilogia è una ucronia, ambientata sempre a Viserba, ma 30 anni prima. Con molta semplicità l’ho chiamato Marzo perché viene prima di Maggio. È un personaggio diverso: più anziano, è vicino alla pensione, un po’ stanco, con la maggior parte della carriera alle spalle. Poi c’è il periodo storico che lo appesantisce: è un romanzo ucronico in cui si suppone che Mussolini non sia stato ucciso dopo, ma sia stato arrestato, secondo un piano degli alleati che era autentico. Quindi nel 1946 alla vigilia delle elezioni c’è un panorama politico diverso, sospeso che costringe tutte le parti a prese di posizioni caute. L’atmosfera è più cupa: quando avviene un omicidio il maresciallo Marzo, che ha avuto esperienze nel fascismo per quasi tutta la sua carriera, si trova a fronteggiare le indagini in questo contesto e il suo passato, dal quale non si è ancora completamente liberato. Questa ambientazione mi è piaciuta tantissimo: secondo me aggiunge qualcosa al libro il fatto che ti piaccia scriverlo. Certo non dev’essere un esercizio edonistico, ma se tratti i personaggi e la trama con rispetto, ne esce qualcosa di bello. 

Non doveva essere una trilogia, ma mi sono reso conto durante la stesura che c’erano cose che sarebbe stato eccessivo mettere in un solo romanzo. Erano punti ugualmente belli, dal mio punto di vista, per lasciarli morire. Così mi son detto che li avrei messi un attimo da parte per vedere poi cosa ne sarebbe venuto fuori. Non ci deve essere una parola in più né una parola in meno. In teoria apri il libro, scegli una parola a caso e se la puoi togliere significa che non va bene”. 

Ti occupi in prima persona di tutti gli aspetti della pubblicazione, oppure ti avvali dell’aiuto di altri professionisti come grafici, editor e correttori di bozze?

“Ho un piccolo staff di lettori forti, gusti diversi, età diverse, ai quali affido la lettura della prima stesura e che mi dicono con molta schiettezza dove non trovano coerenza, dove secondo loro è la storia è carente. Poi si passa al lavoro di correzione di bozze, che fanno loro quasi contemporaneamente. Successivamente mi dedico all’editing. Le copertine e i titoli li produco io, e quando ho bisogno chiedo aiuto come per l’ultimo libro. Ultimamente sto pensando di rifare le copertine, non appena trovo un grafico che riesca a rendere l’idea dei libri. Non è facile. Non è solo una questione di genere: bisogna percepire l’idea del libro, come è successo per Per libere elezioni. Un amico bravo in questo settore mi ha aiutato. Gli ho detto che serviva cupezza, una fascio abbattuto – a simboleggiare il fascismo che non c’è più, ma non è debellato – e lui mi ha capito. L’ho fatto vedere a qualcuno chiedendo cosa gli facesse venire in mente e mi hanno risposto “sembra un manifesto futurista del fascismo”. La consulenza era finita, era esattamente quello che volevo”.  

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