Marco Lugli è tra i veterani del self-publishing italiano. Una carriera come autore di gialli iniziata oltre 10 anni fa e migliaia di lettori che anno dopo anno si appassionano alle indagini del Commissario Gelsomino.
Lo abbiamo intervistato per chiedergli come è nata la sua attività da scrittore, e per strappargli qualche consiglio rivolto alle autrici e agli autori che vogliono approcciarsi a questo mondo.
Vorremmo iniziare parlando di processo creativo. Da dove arrivano le sue idee? Come nasce la costruzione delle sue storie?
Il processo creativo dipende dalla tematica del libro, perché io alterno. Nei romanzi di narrativa tradizionale parto sempre da uno spunto, anche minimo, preso da quello che vivo e vedo.
Invece nei gialli è decisamente più, diciamo, macchinoso. È necessaria una progettazione vera e propria di tutta la trama, dall’inizio alla fine. Poi il contenitore all’interno del quale la trama gialla si sviluppa può anche essere una tematica contemporanea. Anche qui c’è un passaggio, uno stimolo che però chiamerei progetto creativo. Una creazione più cerebrale, quella del giallo. Io utilizzo, per dare un’idea, la tipica lavagna che si vede nei film e che gli investigatori hanno appeso al muro con i fili, riprodotta però al computer.
Qual è il suo rapporto con la scrittura e come è cambiato, se è cambiato, nel tempo? Ha una routine schematica, oppure si lascia prendere dalla foga creativa?
Non mi lascio prendere dalla foga creativa! L’ho fatto all’inizio, forse con i primi due romanzi. Poi a un certo punto, quando ho cominciato a pensare di farlo diventare un lavoro, si è resa necessaria una disciplina e questa disciplina è una routine che mi porta davanti al testo tutti i giorni.
La fase di progettazione magari è leggermente più altalenante, però nel momento in cui inizia la scrittura so che tutti i giorni si procede, si va avanti con il testo.
Poi c’è il giorno in cui si rilegge quello che si è fatto e si sistema ovviamente. Però ci deve essere una sorta di applicazione quotidiana.Esistono dei grandi geni della letteratura che probabilmente vomitano il loro scritto. Io non appartengo a questa categoria.
Una domanda che esula dalla scrittura pura: è un assiduo lettore? Quali sono i generi che più la appassionano?
Sono un lettore quotidiano. Diciamo che la paginetta prima di andare a letto la leggo, e ultimamente l’ascolto, con gli audiolibri. Ho iniziato recentemente, visto anche quanto i miei audiolibri vengano letti, a interessarmi a questo mondo.
Leggo pochi gialli, paradossalmente, nonostante io sia conosciuto per questo genere.
Per tornare alla scrittura e alla pubblicazione: cosa l’ha portata a decidere di pubblicare il suo primo libro?
La scrittura è arrivata a me molto precocemente, perché scrivevo alle elementari dei racconti, utilizzavo dei personaggi creati da altri.
In adolescenza e poi intorno ai vent’anni sono arrivati racconti più seri. Qualcuno fu anche pubblicato su qualche rivista.
E come si è avvicinato al self-publishing?
Inizialmente, come succede a tantissimi autori, mi sono imbattuto in una casa editrice medio piccola che non mi ha mai pagato. Però il numero delle prime vendite erano buone. Questo mi ha portato a decidere di buttarmi, oramai dieci anni fa, nel self-publishing.
C’erano ancora davvero tanti pregiudizi su questo mondo, si pensava che non potessero esserci dei prodotti di qualità o comunque presentati in maniera professionale.
Ho avuto un discreto riscontro sin da subito per cui non ho mollato, ho continuato con la narrativa gialla che in generale nel self-pub funziona bene anche grazie al passaparola dei lettori. Il paradosso è che il mio personaggio è più famoso del mio nome.

Data la sua esperienza decennale possiamo dire che del self-publishing ha vissuto tutte le fasi. Come l’ha visto maturare nel tempo? Quali sono stati, secondo lei, i cambiamenti più importanti in questo mondo?
Sono stati parecchi, principalmente ho visto lo scouting. Il mercato mainstream si è accorto della potenzialità del nostro mondo. C’è un’attenzione da parte della televisione, del cinema e della cultura tradizionale.
Dal punto di vista tecnico poi tutto è molto migliorato. E chiaro, devi metterci tanto del tuo. Quindi dipende anche dalla tua mente, da quanto ci credi, da quanto hai voluto investire nel tuo prodotto. Perché tu devi pagare tutto, diventa un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti.
Un’ultima domanda: cosa caratterizza secondo lei un buon giallo, e cosa consiglierebbe agli autori e alle autrici che vogliono dedicarsi a questo genere?
Rimaniamo in ambito italiano. Io trovo che il lettore di gialli italiano voglia quella strana mistura tra la trama gialla ed entrare all’interno della vita dei protagonisti. Vedo che ci sono miei colleghi che ottengono molto successo quando la parte rosa, chiamiamola così o comunque la vita dei personaggi, è preponderante rispetto alla trama gialla.
Io dal canto mio rimango fedele al fatto che il lettore di romanzi dei gialli è un lettore esigente ed è l’unico lettore al mondo che vuole essere umiliato dallo scrittore che sta leggendo. Vuole essere portato all’interno dell’indagine, superare l’inquirente protagonista del libro. Ma poi, alla fine, è contento quando non ci arriva prima lui.