Bianca Marconero è una scrittrice affermata, scrive libri da oltre dieci anni, ed è oggi una delle penne più conosciute nel panorama del romance indipendente italiano.
L’abbiamo intervistata per carpirne i segreti e farci dare qualche consiglio per riuscire a emergere nel mercato editoriale italiano.
Vorrei cominciare dal processo creativo, da dove arrivano le sue idee e come costruisce i suoi libri?
Molto banalmente, dalla vita!
Io sono un’impicciona (ride, ndr). Sono discreta come persona, ma allo stesso tempo mi piace molto ascoltare le storie degli altri. La curiosità è un serbatoio inesauribile di materia narrativa. Ascolto e mi guardo intorno, anche se poi per rendere interessante un libro si finisce in soluzioni che possono sembrare poco realistiche o poco consuete. La matrice di partenza è sempre la vita reale. È dall’osservazione che nascono i libri e le storie.
Qual è il suo rapporto con la scrittura e come è cambiato, se è cambiato, nel tempo? Ha una routine schematica, oppure si lascia prendere dalla foga creativa?
Fin da quando ero veramente giovanissima, ho sempre trovato nella scrittura un rifugio, un modo per fermare gli eventi che mi accadevano.
Attraverso il processo della trasformazione in fiction, riuscivo a capire meglio quello che mi circondava. Ho sempre scritto molto, ho sempre sentito il bisogno di trasformare quello che mi succedeva in una storia, ma per un lungo periodo non ho avuto il desiderio di condividere queste cose.
Per tantissimi anni ho accumulato un numero impressionante di storie nel pc senza farle leggere nemmeno alle persone che mi erano più vicine.
La prima volta che mi è mi è giunto questo desiderio di condivisione è stato il 2010, quando ero alle prese con una storia che non mi bastava fosse solo mia. Volevo che arrivasse anche agli altri. E quindi ho concepito questo pensiero di cercare un canale di pubblicazione.
Oggi ho chiaramente scadenze. Devo forzare le storie quando non arrivano e questo è sempre un po’ sgradevole, quindi cerco di seguire quelle più fresche, quelle che mi parlano di più, per tornare un po’ alle origini, a quando tutto era molto naturale, molto semplice.
Però sì, ho ancora un rapporto molto stretto con la scrittura, che è sicuramente una prassi quotidiana, nel senso che non passa giorno senza leggere e non passa giorno senza scrivere.
Una domanda che esula dalla scrittura pura: è un’assidua lettrice? Quali sono i generi che più la appassionano?
Sono una lettrice disordinata, ma senz’altro una lettrice “forte”.
Nel senso che, come dicevo prima, non esiste un giorno in cui io non legga.
E pur scrivendo prevalentemente storie sentimentali, romanzi rosa, le mie letture non appartengono a questo genere.
Probabilmente proprio per la necessità di trovare una voce originale. Ho paura di assorbire. Ho paura di diventare una spugna nei confronti di certe storie. Per questo motivo, ma anche per un gusto personale, frequento molto la narrativa generalista e i thriller.
Possono essere anche polizieschi datati come quelli di Scerbanenco o Agatha Christie. Amo il romanzo-rompicapo, quello che ti mette in condizione di svelare il mistero.

Come si è avvicinata al mondo Kobo e Kobo Writing Life?
Su Kobo ho pubblicato la prima volta nel 2013 con i miei esordi.
Ho avuto successivamente un’esperienza con un editore, quindi i miei romanzi andavano anche su Kobo perché l’editore li pubblicava su qualunque piattaforma disponibile.
Nel momento stesso in cui ho deciso di pubblicare, ho scoperto dell’esistenza di questa opzione per la diffusione dei testi in digitale.
Ho riproposto alcuni titoli nello store, perché ho avuto dei feedback molto positivi da parte di colleghi estremamente soddisfatti della permanenza nella piattaforma.
Da autrice indipendente, si è mai sentita sola in questo suo percorso nel mercato editoriale?
Io mi sono sentita più sola quando pubblicavo con un editore, perché non avevo controllo sulla filiera che costruiva il testo. Non è una lamentela, però questa cosa mi provocava un senso di esclusione che mi rendeva inquieta.
Mentre da indipendente, una volta costruita la mia rete di professionisti che collaborano al testo, dal grafico che impagina, ai correttori di bozze, la solitudine non l’ho più provata.
Poi è vero anche che la scrittura è un mestiere solitario, perché sei solo tu e le tue storie fino al momento in cui pubblichi.
Se dovesse dare un consiglio a un’autrice o un autore che si sta approcciando adesso al mondo del self-publishing, cosa direbbe?
Sicuramente di non fare esperimenti sulla pelle dei lettori, di pubblicare solamente libri di cui si è “sicuri”, perché altrimenti si scredita l’intero movimento. La cosa che mi dispiace è vedere gente che si butta senza dare il giusto valore al nostro lavoro. Raccomando prudenza, rigore.
Consiglio di guardarsi intorno per capire cosa funziona e come si arriva poi dal manoscritto, al prodotto finito. Cosa vuol dire condividere un libro che merita di essere pubblicato.
Spesso ci si fa prendere dalla fretta di avere un riscontro, di confrontarsi con il lettore. Se si vuole essere editori di se stessi però non basta scrivere un testo: bisogna assumersi la responsabilità editoriale curando al massimo delle proprie possibilità ogni singolo aspetto.
La cosa importante è che comunque il self-publishing è democratico, ed è sempre la qualità e il valore del prodotto ad emergere.
In chiusura, quali sono le caratteristiche del suo genere, il romanzo rosa? Come si costruisce un buon romanzo rosa e quali sono i consigli che darebbe a chi si vuole lanciare in un’esperienza con questo genere letterario?
Bisogna avere una forte motivazione, le storie romantiche un autore le deve sentire. Probabilmente è uno dei generi più intimi. Bisogna essere molto onesti, non seguire una moda ma lasciarsi trasportare dalla storia.
Poi bisogna rispettare alcune regole, come il lieto fine. C’è una forte intolleranza dei lettori di rosa nei confronti di finali che non si evolvano in maniera positiva. In altri mercati si pretende addirittura che queste storie vengano segnalate con dei disclaimer in copertina.
C’è la necessità, inoltre, di lavorare sui personaggi e sui modelli relazionali che presentano.
Il romanzo rosa, come ogni opera di narrativa, può essere un elogio dell’imperfezione.
Il lettore potrà sognare una grande storia d’amore, ma la narrazione funzionerà meglio se il lettore riconoscerà le fragilità e si riconoscerà nei difetti. Credo che la materia umana più interessante risieda proprio nelle zone d’ombra.
È molto appagante vedere un personaggio alle prese con i propri limiti, che trova la forza di superarli per diventare la migliore versione di se stesso. Mi piacciono i romanzi rosa che parlano dell’amore come forma di altruismo. Dell’amore che motiva e ispira.